Una storia antica...

 

… “Mègghie ‘na sciàbbola dèndre la panza che nu Sciabbolò dèndre de càse”…

 

 Famiglia patrizia di Ripatransone (maschi e femmine), di nobiltà generosa pre unitaria (Stato della Chiesa). Tutte le Dimore: Pietracamela, Ripatransone, Grottammare,  Acquaviva Picena, Monsampolo del Tronto, Offida, Ascoli Piceno, San Benedetto del Tronto, Offida. 

Il cognome della nobile famiglia Capecci (ab ovo Camela, poi diramata in Capecci) si consolida solo a partire dal 15 Settembre 1690 nella terra di Acquaviva (AP), mentre prima di allora la Casata porta il toponimo “di Pietra Camela”, oppure “a Petra Camela” (Pietracamela è un borgo montano attualmente in provincia di Teramo), luogo dal quale provengono i primi capostipiti che si insediano a Ripatransone (AP) fra la fine del ‘400 e i primi del ‘500, precisamente nella parrocchia di San Michele Arcangelo. Ripatransone è una città in cui vige, all'epoca, la separazione dei ceti e che, dunque, ha un ceto patrizio distinto da quello borghese e da quello plebeo. Perfino al tempo della Consulta Araldica del Regno d'Italia, infatti, ancora parecchi secoli dopo, Carmelo Arnone riconoscerà al luogo l'appartenenza di un ceto nobile che può fregiarsi (tutt'oggi) del titolo di "Nobile di Ripatransone", appannaggio sia di tutti i figli maschi che di tutte le femmine (mf) ma ereditabile, ovviamente, solo per via maschile.

 

 La famiglia è attualmente censita nell’Annuario della Nobiltà Italiana (edizione S.A.G.I.) nella parte IV, famiglie che godettero nobiltà generosa negli stati pre unitari, ed è stata recensita con un servizio giornalistico edito, a firma della caporedattrice dott.ssa Asmae Dachan,  dalla pagina 36 alla pagina 39, sulla rivista mensile "ML Mondo Lavoro Magazine", uscita in edicola nell'Aprile 2014. 

 

 

E’ documentata, nella Biblioteca Comunale di Ripatransone (in un foglio sciolto all'interno del taccuino di schizzi di stemmi ripani del NU Benvignati, intitolato "Repertorio di antichità ripane e carassanesi", risalente alla seconda metà dell'800), una pagina manoscritta contenente la rappresentazione grafica di un blasone e il riferimento al cognome Camela. Questo foglio è in carta vergellata, con una buona porzione di filigrana ed è databile alla fine del 1500 / primi del 1600.

 

Lo stemma, vergato presumibilmente con inchiostro a scarsa componente tannica e/o metallo gallica, raffigura il seguente blasone: ”Scudo Accartocciato, partito: nel primo a sei bisanti (o palle) posti in cintura e sormontati da una corona radiata all’antica di 5 punte visibili,  nel secondo ad un leone alato e rivolto, armato e lampassato (oppure, in altre rappresentazioni, un grifone). Timbrato con l’elmo patrizio.”

 

 

Lo Stipite documentato risulta essere Ser Antonio, nato presumibilmente a Pietracamela intorno al 1455 circa.

 

Il figlio, Ser Angelo, anche egli nato forse a Pietracamela nel 1485 circa, genera poi tre figli: lo Ill.mus D.nus Hieronymo e lo Ill.mus D.nus Lonardo (anche detto Nardo). Il terzo figlio è probabilmente Guardiano, che evidentemente prende il nome dal castello che la famiglia possiede in colle di Guardia.

 

Nel 1571 Hieronymo è consigliere comunale nonché “Homo Electus”, eletto in un Consiglio di Cernita di sette elementi e, contestualmente, delegato dai Domini Antiani per verificare la concreta rendita dei terreni e dei beni destinati dalla comunità di Ripatransone alla erigenda nuova Diocesi. Compito questo estremamente importante e delicato, poiché, successivamente al rango di Diocesi, Ripatransone sarebbe poi stata elevata al grado di Città.

 

Il Pontefice Pio V, sempre nello stesso anno del 1571, mette mano alla bolla ed ufficializza la nuova Diocesi ripana, ed in tal contesto il nome, il rango e l’incarico di Hieronymo sono documentati in diverse fonti:

 

Consigli Comunali dell’anno 1571, registro 37, carta 16 verso, nell’Archivio Storico del Comune di Ripatransone. Qui si leggono l’appartenenza al Consiglio Comunale e l’incarico di verificare le rendite derivanti dai terreni e dai beni destinati dal Comune al sostentamento della nuova Diocesi.

 

Rogito notarile dell’anno 1571, manoscritto, Archivio Storico del Comune di Ripatransone. Qui Hyeronimo , insieme con suo fratello Nardo vende al miglior offerente un castello rurale sito in Contrada Guardia, una casa colonica e un oliveto di 120 alberi. E, oltre a essere descritti come figli di Ser Angelo e nipoti di Ser Antonio di Pietra Camela, sono appellati col trattamento di Illustrissimi Domini.

 

“Erezione della diocesi di Ripatransone, pagine di storia religiosa marchigiana, sec. XVI” libro di Mons. Giovanni Papa, Edizioni Studia Picena, Fano 1976. Qui alla pagina 145 vengono pubblicati e specificati in nota il nome e i compiti di Hieronymo.

 

I Camela, o almeno la parte principale della famiglia, lasciano però quasi subito Ripatransone. Augustino, infatti, figlio di Antonio e nipote di Nardo, pur nascendo a Ripatransone muore a Gruptar ad Mare (Grottammare, in provincia di AP) nel 1649.

 

 

Augustino nasce a Ripatransone nel 1599, qui si sposa nel 1624 una prima volta con Donna Laudimia dei Ranaldi de Ripa ed ha il primo figlio, Joannes, nel 1629. Poi lascia la città.

 

 

Si stabilisce a Gruptar ad Mare e forse proprio in questa città contrae un secondo matrimonio con Donna Olimpia Julia. Il secondogenito, Domenico, nasce a Grottammare nel 1631 e poi si trasferisce a sua volta in Acquaviva (Acquaviva Picena in provincia di AP). Qui Domenico dà origine all’intero ceppo Piceno dei Capecci, non si hanno prima, infatti, notizie di altri Capecci in paese.

 

Nel 1690, e più precisamente il 15 Settembre, nasce una sua nipote, Anna Maria (figlia di un altro Augustino, il primogenito di Domenico), e in questa occasione appare per la prima volta la dicitura: “Augustini Dominici Capeccio et Donna Dianora”, ovvero (figlia) di Augustino, di Domenico Capeccio, e di Donna Dianora.”

 

Anche nella nascita di Maria Rosa, figlia di Philippus, il terzogenito di Domenico, avvenuta (sempre ad Acquaviva) il primo Luglio 1694, compare qualcosa di simile: “Philippi Dominici alias Capeccia et Donna Francisca”, cioè (figlia) di Filippo, di Domenico altrimenti detto Capeccia, e di Donna Francesca. Il cambiamento di cognome da Cameli in Capecci, dunque, pure se in modo graduale è iniziato.

 

Il motivo che porta alla attribuzione a Domenico dell’appellativo Capecci può essere spiegato analizzando il significato dello stesso soprannome: una trasposizione derivante dal latino Caput-capitis (Capo). Infatti il termine Capecchio, secondo il Dizionario della Lingua Italiana Garzanti (edito nel 1977), sta a indicare la parte superiore (del “capo”) della pregiata pianta del lino durante la sua lavorazione: " materia grezza ottenuta dalla prima pettinatura del lino e della canapa". Anche il Boccaccio nel Decamerone cita nella novella decima: "Poi sciogliendo le balle, tutte, fuor che due, che panni erano, piene le trovò di capecchio" .

 

 Tutto ciò fa desumere che la famiglia fosse proprietaria di piantagioni di lino più o meno estese (soprattutto nei possedimenti terrieri ubicati fra la stessa Ripatransone, Acquaviva Picena, in particolare la contrada Cerquaferrata, ed Offida) e che, probabilmente, lo commercializzasse in modo massiccio.

 

Da Valerio prende origine con il 1773, anno della sua nascita, una particolare curiosità storica della famiglia Capecci: il vezzo di chiamare con i nomi Valerio e Giuseppe ogni figlio primogenito, alternandoli tra una generazione e l’altra.

 

 

Un orgoglio, ma anche motivo di lutto per la famiglia, è Giuseppe, ucciso nel 1799 mentre difende, insieme ad altri cittadini, Acquaviva dai briganti – insorgenti (anti francesi) comandati dal bandito/generale Sciabolone. E’ sepolto nella chiesa di San Nicolò di Bari ad Acquaviva.

 

Un aneddoto (non si sa quanto vero e quanto leggendario) su Giuseppe riguarda il fatto che egli prima di morire ha a pronunciare una frase in dialetto, molto ironica e al tempo stesso sprezzante: “Megghie na sciabbola dendre la panza che nu Sciabbolò dendre de case”, che tradotto in Italiano significa: “Meglio una sciabola conficcata nella pancia piuttosto che un brigante come Sciabolone libero di scorrazzare in casa”.

 

 La sua morte in tale circostanza di assedio, nonché la sua sepoltura in chiesa, comunque, sono documentate sia dal relativo Registro dei Defunti della chiesa di San Nicolò, sia dal libro “Storia di Acquaviva Picena”, di Gabriele Nepi.

 

 

Giuseppe, poi, il figlio di Valerio, risulta possidente ed abitante cittadino da un libro dello Stato delle Anime, nel periodo della metà dell’Ottocento circa.

 

Suo figlio, Valerio, come risulta dall’ Archivio di Stato di Ascoli Piceno, acquista nel 1901 il palazzo di famiglia ad Acquaviva, di 5 piani e 18 stanze, che affaccia sulla piazza principale. Il palazzo, di costruzione molto antica (dallo stile se ne desume una origine quattrocentesca) affrescato al suo interno, dispone di una cappellina privata, benché la famiglia avesse anche un banco riservato nella chiesa parrocchiale, che conteneva molte importanti tele, una delle quali opera del famoso pittore fermano Filippo Ricci, della metà del 1700.

 

In seguito una piccola nota di celebrità viene vissuta da Giuseppe Nicola (1880-1946) il quale, avendo la grande passione della buona tavola, è pregato dall’ allora Podestà di Acquaviva di organizzare, nel palazzo di famiglia, un sontuoso banchetto in onore del Maestro Pietro Mascagni, ospite ad Acquaviva insieme al Baritono De Luca e all’Impresario Grand’Uff. Rossi.

 

Doveroso, infine, ricordare altri personaggi, cronologicamente tra i più recenti.

 

Tra di essi Valerio (Acquaviva Picena 1909 - San Benedetto del Tronto 1990, sepolto ad Acquaviva Picena nella cappellina Capecci/Compagnoni, che, come ricordato anche nel sopracitato libro “Storia di Acquaviva Picena” è Segretario Comunale, attivo prima nel Municipio di Monsampolo del Tronto, poi in quello di Acquaviva dal 1944 al 1960, e infine in quello di Offida.

 

Egli sposa una ereditiera, Giovanna Maria Capriotti (nata nel 1916), di Olivio, diplomata in Economia Domestica, la quale avendo perso gli unici due fratelli maschi in un incidente automobilistico nel Dicembre 1937, mentre tornavano da Roma dove si erano recati per curare alcuni affari di famiglia e per andare al cinema, diviene erede, insieme alla sorella, di un patrimonio composto da possedimenti terrieri, mulini, frantoi e altri beni immobili. Donna Giovanna Maria decede nel 2013 ad Offida ed è sepolta accanto al marito ad Acquaviva Picena nella cappellina di famiglia (Compagnoni - Capecci).

 

Il padre di Giovanna Maria, Olivio Capriotti, come risulta dall’Archivio di Stato di Ascoli Piceno è, fino al 1949, Enfiteuta dell’Abbazia di San Benedetto.

 

 

Di spicco uno dei due fratelli di Valerio: il Generale Altobello Valente (detto Aldo), classe 1912, defunto nel 2005 e sepolto ad Acquaviva Picena nella cappellina Capecci/Compagnoni, che, dopo una brillante carriera militare come Ufficiale nella Guerra d’Africa, entra nella Polizia di Stato salendo fino al massimo vertice.

In occasione della cerimonia del 25 aprile 2002 vien insignito di una targa del Comune di San Benedetto del Tronto “per i meriti conseguiti nel servizio svolto a favore dei cittadini e della Patria”. Consegue anche la medaglia d'oro Mauriziana per lungo comando.
Dopo aver partecipato come Sottotenente di Fanteria nella guerra di Etiopia, Altobello, dopo l’armistizio entra nel Corpo di liberazione italiano ed è inviato sul fronte di Cassino accanto agli americani nella lotta per la Liberazione dell’Italia dai tedeschi. Nominato Tenente degli agenti di pubblica sicurezza e trasferito a Roma al battaglione Mobile, gli viene affidato l’incarico di formare il terzo reparto celere di pubblica sicurezza. Promosso Capitano, opera a tutela dell’ordine pubblico e di strutture vitali dell’ordinamento come il Viminale, allora sede del Governo, e del ministero dell’Interno, in momenti delicati per il nostro Paese come i lavori dell’assemblea Costituente e i giorni immediatamente successivi alla proclamazione della Repubblica. Opera quindi a Foggia, Livorno, Bologna fino a chiudere la sua carriera a servizio della polizia nel 1972 con il grado di Maggior Generale. Nel 1992 l’allora ministro dell’Interno Rognoni lo promuove "Tenente Generale “a titolo onorifico” della Polizia di Stato.

 

L’ingegner Dino, figlio del Generale Altobello, è attualmente in quiescenza ma è stato uno dei professionisti più noti nel panorama edilizio locale. Sua figlia, la dott.ssa Sandra è una stimata psicologa operante a Milano. La defunta Maria Gabriella, anch'essa figlia del Generale, che ha sposato il Dott. Maurizio di Menna, capo area di una delle più grandi aziende farmaceutiche internazionali, ha una figlia, la dott.ssa Fabrizia, medico odontoiatra in quel di Bologna e un figlio, il prof. ing. Massimo, docente presso l'Università Felsinea.

 

Il figlio di Valerio, il Professor Giuseppe (detto Pino), classe 1938, deceduto nel 2001 e sepolto ad Offida nella cappellina Vannicola/Capecci è, oltre che dirigente di un Ente Regionale (Ufficio Decentrato Opere Pubbliche e Difesa del Suolo, ex Genio Civile), un validissimo storico dell’arte e pittore e viene nominato, nel 1980, "Accademico Gentium pro Pace" di Roma (ex classe sibi legitima) per meriti artistici. Egli sposa nel 1969, ad Offida (AP) il Perito Chimico Maria Teresa Vannicola, detta Marèsa, discendente dal Dominus Domenico che è capitano dell'esercito comunale di Offida nella metà del XVII secolo. Marèsa aveva per madrina di Cresima la defunta ND Annunziatina Sergiacomi, detta Titina, sposata in Cannelli e figlia del NU Cav. Pietro Sergiacomi di Offida, dignitario della Famiglia Pontificia, con il titolo di “Cameriere d'Onore Soprannumerario di Spada e Cappa di Sua Santità” (in data 1 Novembre 1958) e decorato con “Placca dell'Ordine di San Silvestro Papa” (in data 20 Gennaio 1959).

 

 

Da Pino e Marèsa, nel 1970, nasce il primogenito Mauro Valerio, cresciuto negli ambienti della Destra provinciale sociale ascolana degli anni '80, la destra del MSI, del FdG e di Almirante. E'araldista ed oplologo medievale, "Accademico delle Scienze Araldiche e Oplologiche Medievali di Innsbruck", "Accademico della Norman Academy" e Confratello Cavaliere di Giustizia della "Real Confraternita di San Teotonio". Nel 1974 nasce il secondogenito Gianmarco Duccio, musicista per passione, diplomatosi attore, a pieni voti, al Teatro Stabile delle Marche, dottore (Summa cum Laude) in Scienze Religiose e professore di religione nelle scuole. Mauro e Gianmarco hanno per padrini di Cresima rispettivamente Pasquale e Stefano Cannelli, quest'ultimo scomparso prematuramente nel 2019, nipoti ex matre del NU Cav. Pietro Sergiacomi di Offida (AP).

 

La maestra Lea, sorella del prof. Giuseppe, anch’essa figlia di Valerio, nata nel 1943, sposa nel 1965 il facoltoso e noto imprenditore industriale sambenedettese Lino Liberati, discendente da famiglia di antiche tradizioni marinare. Da questo matrimonio nascono Michele Liberati (imprenditore nel settore informatico) e Valerio Liberati (che ha seguito le orme del padre alla guida della trafileria di ferro di famiglia, diventando, ad oggi, amministratore delegato nonché azionista di maggioranza).

 

 

 

Fonti:

 

 

 

  • Archivio Storico Parrocchia San Nicolò di Bari – Acquaviva Picena (AP)
  • Archivio Storico Parrocchia San Michele Arcangelo – Ripatransone (AP)
  • Archivio di Stato di Ascoli Piceno
  • Biblioteca Comunale, fondo antico - Ripatransone (AP)
  • Archivio Storico Comunale – Ripatransone (AP)
  • Libro “Storia di Acquaviva Picena”, del prof. Gabriele Nepi, edito dalla Cassa Rurale e Artigiana di Acquaviva e Monteprandone, 1982
  •  Rivista mensile "ML Mondo Lavoro Magazine", in edicola ad Aprile 2014

 

  • Annuario della Nobiltà Italiana (Edizione S.A.G.I.)
  • Dizionario della Lingua Italiana Garzanti, diretto da Giorgio Cusatelli, XV edizione del Gennaio 1977.